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Capitale Umano: Manifesto e PlayBook. E da maggio la formazione

Agli Stati Generali di Cremona abbiamo presentato ufficialmente il Manifesto sul Capitale Umano e il PlayBook, due strumenti frutto del lavoro di community, di ricerca e studio che ha visto coinvolti più di 30 cooperative, consulenti esterni e staff di CGM. E ora, per proseguire nel lavoro sulle “nostre persone”, stiamo predisponendo un Piano formativo con incontri, sia online che in presenza, per approfondire tutti gli aspetti legati al Capitale Umano.

“La persona al centro” è uno slogan che è sempre più adottato anche dalle imprese sociali quando fanno riferimento a un loro cruciale stakeholder: le lavoratrici e i lavoratori che con il loro operato garantiscono la produzione di beni e servizi di interesse generale che sostanziano la loro missione. Per evitare che questo richiamo diventi solo retorica è necessario dotarsi di una buona strategia capace di rigenerare il capitale umano per avviare un nuovo ciclo di sviluppo.

Noi di CGM lo abbiamo fatto grazie a una comunità di pratica che, grazie al supporto del nostro team e di Kopernicana e Cooperjob, ha elaborato un Manifesto che riassume le principali istanze di advocacy, ma anche un PlayBook. Un documento, quest’ultimo, che integra valori cooperativi opportunamente riattualizzati, soluzioni organizzative puntuali in grado di sortire effetti positivi ad ampio raggio, pratiche di gestione HR che riclassificate in aggregatori di senso definiscono strategie emergenti. Un documento eclettico sia nei contenuti che nelle modalità d’uso e che ha suscitato molta curiosità e interesse nel corso degli Stati Generali di Cremona.

Eccoli da scaricare. Fatene buon uso e non esitate a farci avere commenti e feedback da condividere all’interno della nostra community.

Continuiamo a lavorare sulle “nostre persone”, proponendovi durante l’anno 2025 degli incontri di formazione, sia online che in presenza, per approfondire tutti gli aspetti legati al Capitale Umano.

  • Welfare aziendale come strategia nella gestione del capitale umano (7 maggio)
  • Tecniche e strumenti per una efficace gestione del tempo nelle nostre imprese (2 ottobre)
  • Attrarre talenti nelle imprese sociali: strategie e strumenti (3 dicembre)
  • Team building per l’HR manager (luglio)
  • La roadmap dell’HR: dall’employee journey alla strategia dell’organizzazione (23/24 ottobre)
  • Change management: strategie per guidare il cambiamento attraverso la funzione HR (27/28 novembre)

Nelle prossime settimane saranno online maggiori dettagli. Intanto abbiamo preparato un piano indicativo con argomenti e date da segnare in agenda.

Per informazioni, scrivere a: simona.taraschi@cgm.coop.

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Cooperatrici alle cooperatrici: “Siate generative, rivoluzionarie, diverse”

Nella Giornata dedicata alle donne, con gli Stati Generali sul Capitale Umano alle porte, abbiamo chiesto a quattro donne, quattro cooperatrici della nostra rete, di rispondere a tre domande sul ruolo delle donne nel mondo della cooperazione, sui temi più femminili che riguardano le risorse umane in un’impresa sociale, sull’impegno ad essere davvero motore di cambiamento. E a tutte le donne, in particolare le donne cooperatrici, i nostri migliori auguri.

Francesca Gennai

Daniela Ortisi

Daniela Riboldi

Simona Balistreri

Intanto le presentiamo. Partiamo da Francesca Gennai, la nostra vicepresidente, “toscana di origine ma sempre più trentina”, si descrive. Mamma di Amelia e Adele. Ha ruoli diversi in più imprese cooperative “ed il privilegio di fare un lavoro che mi diverte e sfida quasi quotidianamente”, dice. Daniela Ortisi, invece, è presidente della Cooperativa Esserci. “Nella cooperazione sono cresciuta come persona, come lavoratrice, come imprenditrice sociale”, commenta. All’inizio operatrice in gruppi appartamento per persone con disagio psichico, è stata coordinatrice, responsabile di progetti innovativi in ambito sanitario, referente selezione e responsabile formazione, responsabile dei servizi di Politiche Attive del Lavoro e consigliera di amministrazione. La terza donna è Daniela Riboldi, laureata in Pedagogia, Presidente e Responsabile delle Risorse Umane presso la Cooperativa Sociale di tipo A META. Inoltre, fa parte della presidenza di Federsolidarietà Milano e Navigli, del Consiglio di amministrazione del Consorzio Comunità Brianza e del comitato del forum Monza e Brianza.
Infine, Simona Balistreri, presidente della cooperativa sociale di tipo B, Raggio di Luce, si occupa dell’inserimento lavorativo di persone con gravi disabilità. Psicologa psicoterapeuta, ha diverse cariche nel mondo della cooperazione, è autrice di libri (uno in particolare sul Disability Management delle Risorse Umane) e di diverse pubblicazioni su riviste.
Tutte e quattro saranno l’11 e il 12 marzo ai nostri Stati Generali a Cremona: scarica il programma.

Francesca Gennai: “Le donne rappresentano il motore della cooperazione, gli uomini il pilota. Andando fuori di metafora, la donna nel mondo della cooperazione è la quota più alta delle persone occupate. Questo però non ha un riflesso positivo nelle posizioni di governance dove il 75% dei ruoli è occupato da uomini”.

Daniela Ortisi: “Credo che le donne hanno il dovere ancor più che il diritto di portare nel lavoro competenze, conoscenze, interessi, punti di vista che completano l’altra parte del mondo. Siamo diverse…ed è un meraviglioso valore aggiunto di cui il mondo non può e non deve fare a meno”.

Daniela Riboldi: “Nel mondo della cooperazione sociale, le donne non sono solo operatrici, ma agenti di cambiamento capaci di innovare il welfare e promuovere collaborazione e integrazione. Per garantire un futuro sostenibile è essenziale investire nel talento femminile, promuovendo leadership inclusive, crescita professionale e politiche di conciliazione vita-lavoro. Credo che sia necessario pensare ad una contaminazione tra stili di leadership maschili e femminili, affinché possano arricchirsi reciprocamente”

Simona Balistreri: Nel contesto della cooperazione sociale, le donne portano con loro una visione inclusiva e una naturale predisposizione all’accoglienza. Nel mio ruolo di presidente di una cooperativa sociale che si occupa di inserimento lavorativo per persone con disabilità, infatti, vedo ogni giorno come la sensibilità, la capacità di ascolto e la determinazione femminile siano elementi essenziali per creare contesti di lavoro realmente inclusivi ed accoglienti”.

Francesca Gennai: “Il sistema produttivo è nato avendo a riferimento il modello maschile. Le professioni, le carriere e le opportunità sono state modellate intorno ad un archetipo maschile. Questo schema non solo ha escluso le donne, ma le ha rese invisibili, privandole della possibilità di essere protagoniste attive nella vita politica, economica e sociale del Paese. E’ il tempo questo di lavorare sui meccanismi che ancora oggi generano disuguaglianze di opportunità professionale fra uomini e donne”.

Daniela Ortisi: “Che si parli di donne o di uomini bisogna innanzitutto essere competenti, portatori di know how. Non c’e niente che le donne non possano imparare e fare e lo stesso vale per gli uomini ma io credo che sia bello che si possano esprimere competenze trasversali diverse indipendentemente dal genere, che si possa imparare realmente a cooperare. Dobbiamo essere noi stesse ad essere consapevoli del nostro valore senza arroganza. Le donne con garbo e intelligenza devono portare il loro contributo come Capitale Umano (che altrimenti sarebbe incompleto) cercando di essere diverse per fare la differenza”.

Daniela Riboldi: “Io credo che il vero motore del cambiamento, nella cooperazione, siano le persone. Ogni uomo e ogni donna, con il proprio contributo unico, porta valore e significato a ciò che facciamo. E sono convinta che le donne, in particolare, abbiano un ruolo fondamentale: la loro capacità di costruire relazioni, di innovare e di promuovere inclusione è una risorsa straordinaria. La qualità del welfare dipende dalla capacità di costruire relazioni significative e reti di fiducia, in cui i destinatari dei servizi non siano solo beneficiari, ma veri protagonisti del cambiamento”.

Simona Balistreri: Credo che un tema centrale sia il riconoscimento del valore delle competenze femminili, soprattutto nel mondo del lavoro. Credo sia fondamentale dare il giusto spazio e valore alle donne, permettendo loro di esprimere sempre il proprio potenziale. Quando le donne sono messe nelle condizioni di esprimersi e di incidere nelle scelte strategiche, il capitale umano si arricchisce e tutta la società ne trae un beneficio. Occorre mettere al centro la Persona, anzi, le Persone Tutte (a prescindere dal genere) per ottenere una crescita collettiva ed è per questo che il femminile può e deve avere il giusto peso sociale“.

Francesca Gennai: “Faccio mie le parole di uno scritto di Monique Witting in Le guerriere. “Dicono che non c’è realtà prima che le parole le regole i regolamenti le abbiano dato forma”. E se iniziassimo a riscrivere regole e regolamenti e inventare nuove parole? E se iniziassimo a farlo guardando alle donne partendo da loro? Forse siamo ancora troppo abituate a pensare alle donne a partire dagli uomini”.

Daniela Ortisi: “Un messaggio alle donne che lavorano con intelligenza e sensibilità, con attenzione e spirito critico, con determinazione, generosità e visione sul futuro… Siate generative, siate rivoluzionarie, siate diverse. Non siamo ancelle siamo donne!”.

Daniela Riboldi: “Con il nostro lavoro contribuiamo al cambiamento mettendo al centro le relazioni. Oggi il metodo cooperativo rappresenta una vera rivoluzione: un modello alternativo che valorizza la condivisione, la reciprocità e il lavoro di squadra. La cooperazione non è solo un modo di lavorare, ma una forza trasformativa capace di ridurre le disuguaglianze, sostenere il benessere delle persone e costruire una società più giusta e inclusiva attraverso un impatto sociale positivo. Le sfide del nostro settore sono molte, e il cammino può essere faticoso, ma lavorare per il bene comune e farlo insieme agli altri rende tutto questo bello, stimolante e ricco di soddisfazioni”.

Simona Balistreri: “Il nostro lavoro ha un impatto determinante, spesso profondo più di quanto possiamo immaginare. Essere donne in un contesto cooperativo significa avere la determinazione di coniugare etica ed impresa, sostenibilità ed inclusione, accoglienza e sviluppo. Solo attraverso la condivisione e il sostegno reciproco, in questa direzione, potremo generare poi un cambiamento reale e duraturo che sappia “contaminare” con questa attitudine anche altri contesti produttivi.“.

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Capitale umano: il valore che ci riconosciamo e che gli altri ci riconoscono

A pochi giorni dagli Stati Generali di CGM pubblichiamo questa introduzione della nostra presidente Giusi Biaggi. “Prendersi cura di questo capitale che sono le persone, richiede investimenti a più livelli. Un livello strategico che porta ad assumere un nuovo paradigma fondato sul concetto di imprese aperte ad autonomia e responsabilità distribuita“.

Il Consorzio Cgm ha assunto come direzione prioritaria per lo sviluppo delle proprie imprese sociali, la valorizzazione del capitale umano. È diventato un “mantra” in questa fase storica in cui il mercato del lavoro è in profonda trasformazione e le sfide si fanno sempre più decisive: essere in grado di attrarre persone, garantire la loro permanenza e crescita all’interno delle cooperative sociali, far emergere e valorizzare le competenze, accompagnare l’assunzione di responsabilità, remunerare adeguatamente il lavoro, divenire luoghi di lavoro in cui desideri personali e mission delle imprese si compenetrano, contagiano e cercano convergenza.


La lettura della realtà si unisce al desiderio di essere (tornare ad essere/continuare ad essere) imprese sociali che creano impatto positivo sui territori generando, grazie all’impegno, passione e professionalità delle persone, sviluppo, coesione e cooperazione nelle comunità.
Prendersi cura di questo capitale che sono le persone, richiede investimenti a più livelli.

Un livello strategico che porta ad assumere un nuovo paradigma fondato sul concetto di imprese aperte ad autonomia e responsabilità distribuita. Qui si gioca la distintività del modello cooperativo, pensata “aperta” e a responsabilità diffusa fin dalle origini, ma che oggi deve essere in grado di riattualizzare questi principi, alla luce delle persone, specialmente soci e socie, che oggi sono protagoniste delle nostre organizzazioni o lo possono diventare.


Dalla scelta strategica, quindi dal “perché”, discende il “come”. E quindi l’investimento va sulle risorse (economiche, organizzative, di competenze, di tecnologia, di innovazione, ecc.) da attivare per costruire prassi e percorsi di crescita sistematici e continuativi all’interno delle cooperative sociali.

In questi mesi di avvio del percorso, Cgm ha lavorato con una cinquantina di persone della rete che si occupano di risorse umane: una comunità di pratica che guida ed accompagna questa direzione sfidante. Sono state messe in luce delle necessità che cercheremo di colmare con formazioni specifiche e con nuove soluzioni prodotte dall’intelligenza collettiva (co-design). Sono emerse anche tante buone pratiche già in essere che necessitano di essere perfezionate, innovate, sistematizzate. Talvolta, in cooperativa sociale, le diamo per scontate, ma è bene, invece, che emergano con forza. Dicono della propensione alla cura delle persone lavoratrici già presente nelle nostre imprese. E così, la “valigetta degli attrezzi” si sta implementando. Ma molto lavoro ancora ci aspetta.

C’è inoltre un altro elemento fondamentale che permette di “elevare a potenza” il nostro capitale umano. Si tratta di un fattore esterno all’organizzazione e fondamentale per chi come noi ha scelto un modello di sviluppo orientato all’imprese di comunità. Quello di cui parlo è il valore che gli altri ci riconoscono. E gli altri sono gli enti pubblici, le associazioni, le imprese, le associazioni di categoria, i cittadini, le famiglie. Quanto vale per ciascuno di questi soggetti il lavoro delle persone lavoratrici delle cooperative. Qual è il valore del lavoro sociale? È visto? È riconosciuto nella sua distintività? È davvero un pilastro della nostra società?
Quindi, il capitale umano delle cooperative sociali è valorizzato se, anzitutto, le stesse imprese sociali fanno investimenti mirati. Ma il capitale umano eleva a potenza il proprio valore se coglie da parte di chi sta fuori, sguardi, parole, scelte economiche e politiche che, nel concreto, danno riconoscimento a questo valore.

Queste riflessioni si rendono evidenti, purtroppo, durante periodi difficili in cui si ha la concreta sensazione di non vedere riconosciuto il valore distintivo di ciò che siamo. Ad un anno dal rinnovo del CCNL delle cooperative sociali, tante (troppe) pubbliche amministrazioni ancora non riconoscono l’aumento contrattuale.
In diverse piazze d’Italia la cooperazione sociale ha manifestato il proprio dissenso. Sabato 15 febbraio educatori professionali e operatori socio-sanitari hanno realizzato un flash mob a Torino per protestare contro i mancati aggiornamenti delle tariffe sui servizi per la disabilità.
A Cremona in questi giorni sono in corso forti proteste per l’aggiudicazione del servizio di assistenza per l’autonomia personale di persone con disabilità in ambito scolastico, da parte di una grossa realtà estranea al territorio, grazie al ribasso che ha applicato. Una associazione di cinque imprese cooperative locali si vede dunque costretta a cedere il passo. Ma, ad esempio, su 150 persone lavoratrici oggi impiegate all’interno delle cooperative territoriali su questo servizio, solo 50 accetteranno “l’assorbimento” da parte della cooperativa entrante. La motivazione più frequente per questa scelta è il fatto di essere estremamente legati alla “propria” cooperativa. Credo che anche questo ci insegni qualcosa su cosa significhi il mantra da cui siamo partiti. La valorizzazione del capitale umano è una priorità.

Un impegno che però deve essere sostanziato con continuità dalle cooperative sociali e, in parallelo, deve essere riconosciuto dall’esterno.

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“Abbiamo lasciato il tema del desiderio al marketing, è ora di riportarlo a casa”

In una società in cui il desiderio è scomparso o è fagocitato dal prodotto, occorre riattivare la capacità autentica di vedere e colmare una mancanza di significati aprendoci in senso relazionale, e assumendo una postura che rende inquieti e fa muovere. Paolo Venturi e Flaviano Zandonai parlano del loro nuovo libro “Spazio al desiderio – Il potere delle aspirazioni per generare innovazione e giustizia sociale”, pubblicato da EgeaEditore e dialogato con rappresentanti di cooperative sociali, fondazioni, associazioni di volontariato, locali e nazionali.

Un titolo accattivante e ispirazionale: da dove nasce questo libro?

(Paolo) Nasce dall’urgenza di risignificare i processi di innovazione sociale ancorandoli al soggetto che li genera, ossia la persona. Ci siamo accorti che siamo estremamente ricchi di strumenti, metriche, normative, toolkit e buone prassi, ma sta evaporando la spinta che rende tutto questo potenzialmente utile: il desiderio. Dopo aver parlato di istituzioni (Imprese ibride), luoghi (Dove) e logiche (Neo-mutualismo), abbiamo maturato la consapevolezza di tornare a un fattore che non è nella disponibilità della tecnica o della tecnocrazia.

Siamo convinti che averlo ridotto o allontanato dalla realtà abbia indebolito il realismo e, quindi, anche la capacità di innovare. Ci interessava riportare il desiderio al centro delle azioni e delle strategie, con l’intento di stimolare sia le organizzazioni che hanno un orizzonte di interesse generale sia quelle che ridefiniscono la propria attività intorno all’impatto sociale. Senza desiderabilità non c’è innovazione sociale.

Un progetto a quattro mani: chi ha curato cosa?

(Flaviano) Seguiamo un approccio artigianale nel costruire i nostri libri. Disseminiamo contenuti piuttosto variegati e ad ampio raggio che ci tornano indietro arricchiti dai feedback di conversazioni e incontri che cerchiamo di coltivare con grande cura. Questa base “discussa” di contenuti cerchiamo poi di riassemblarla intorno a un’idea guida – in questo caso il desiderio – che scaturisce dal confronto con il nostro editore. Il resto è il classico, duro, lavoro dettato da tempi di consegna e struttura del format editoriale.

In una società in profonda crisi economica e sociale, costellata da guerre e disuguaglianze, la popolazione ha ancora dei desideri?

(Paolo) Ma certo. La persona è struttura di desiderio. Le aspirazioni non sono parte della disponibilità del “mondo”, ma il “mondo” (anche quello del lavoro) può spegnerle e non valorizzarle. Il nostro punto di vista è che senza il desiderio queste sfide non solo non si possono vincere, ma nemmeno affrontare.

Si tratta di sfide che richiedono agonismo e, in certi casi, antagonismo, che non possono essere sostenuti solo da linee guida, competenze, incentivi e norme giuridiche. Se non recuperiamo l’energia delle aspirazioni, non saremo in grado di giocare una partita orientata al cambiamento.

Quando parliamo di desiderio, nel libro intendiamo qualcosa di diverso rispetto al “purpose” che molte imprese (legittimamente) mettono al centro del proprio agire. Mentre il “purpose” è aziendale, il “desiderio” è personale. Può sembrare un paradosso, ma questo surplus emerge solo nella relazione e in un contesto che lo stimola. Abbiamo lasciato il tema del desiderio al consumismo: è arrivato il momento di riportarlo a casa.

Leggendo il libro, lo spazio al desiderio può essere applicato alle organizzazioni, agli strumenti che utilizziamo e alla leadership. In che modo possiamo farlo concretamente?  

(Flaviano) Semplificando un po’ potremmo dire che il desiderio è la cartina tornasole della compliance e degli strumenti di gestione organizzativa. Se la cartina, come in chimica, non reagisce vuol dire che tutta una serie di strumenti rendicontativi, autorizzativi, gestionali, ecc. sono mortiferi e non generativi. Non vogliamo fare gli iconoclasti della burocrazia organizzativa (anche se ci piacerebbe) però il carico sta crescendo così tanto, anche nel terzo settore e nell’impresa sociale, da chiederci se sia ancora possibile risignificarla, dotarla di un senso, prima di esserne completamente fagocitati. La leadership da questo punto di vista si connota proprio per la sua capacità di fare “spazio al desiderio”, un po’ rimuovendo ostacoli ma soprattutto allestendo contesti di partecipazione e confronto.

“Il desiderio come chiave per affrontare le sfide dell’innovazione sociale”: dobbiamo allora rivedere il paradigma e ripartire dal desiderio?

(Paolo) Ma è sempre stato così. Siamo noi che abbiamo seppellito questa prospettiva con i post-it. L’innovazione sociale è un metodo per alimentare processi trasformativi (non meri cambiamenti) attraverso i beni relazionali, legando i mezzi a fini buoni per molti, creando istituzioni e processi capaci di rispondere a bisogni e potenziare la qualità della vita pubblica, in particolare per i più vulnerabili.

Secondo voi è pensabile che tutto questo accada senza una spinta e una motivazione intrinseca? È evidente che, senza una reale desiderabilità, l’esito è solo una proliferazione di progetti strumentali. Uno degli elementi che caratterizzano innovazione e impatto sociale è l’intenzionalità.

Io sono convinto che, senza desiderabilità, non ci sia un’autentica “intenzionalità”: A tal fine, quando disegniamo e progettiamo innovazione, dobbiamo verificare se lo stiamo facendo dentro un contesto arido o ricco di motivazioni e aspirazioni. Se queste non sono presenti, occorre ripartire da un lavoro maieutico.

Nel libro il tema del “fare comunità”, della leadership e dei luoghi è trattato come un insieme di meccanismi capaci di riattivare il desiderio.

Quindi il desiderio può essere il terzo pilastro della nostra società?  

(Flaviano) Bella domanda. Direi che può essere una palestra per educare la nostra capacità a desiderare. Occorre infatti un certo “habitus” del desiderare. Un’espressività inconsapevole espone al rischio di veder espropriata la sua energia. Basti guardare a come il mercato, e il marketing in particolare, si è impossessato del desiderio. Le organizzazioni del terzo pilastro hanno, in potenza, la capacità di evidenziare due stati fondamentali per innescare e agire il desiderio. Il primo è quello dell’assenza, della mancanza. Il secondo stato è quello dell’attesa. Una sorta di situazione intermedia rispetto a una dimensione produttiva e performativa che viene spesso sottovalutata ma che invece rappresenta un “boost” fondamentale soprattutto se ci si muove in un’ottica di cambiamento, investimento, assunzione di rischio.

Siamo arrivati al termine di questa intervista e vi chiediamo: qual è il vostro desiderio?

(Paolo e Flaviano) Che il libro sia utile. Abbiamo appaltato alla piramide dei bisogni gran parte delle nostre azioni e strategie, dimenticandoci che la vera piramide è quella del desiderio. Ce lo ricorda molto bene Dante nel Convivio.

La domanda di innovazione e giustizia sociale rischia di diventare una FAQ piuttosto che una tensione condivisa da molti. In questo momento storico, il mio desiderio è tenere viva una sana inquietudine e stimolare le organizzazioni e le persone a guardare al futuro con positività.

Sappiamo bene che i tempi sono molto bui, ma non possiamo rinunciare a sperare e desiderare. La speranza, infatti, “non si fonda sulla certezza che le cose vadano sempre come vogliamo noi, ma sul fatto che ciò che facciamo abbia un senso” (V. Havel).

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Festività, il desiderio di un ‘noi’ gioioso e operoso. E nel 2025 Stati Generali a Cremona

Pubblichiamo gli auguri della nostra presidente Giusi Biaggi in rappresentanza di tutto il cda e dello staff CGM. E se nel 2024 abbiamo tracciato insieme una strada, nel 2025 molte “direzioni” che la rete ha intrapreso, saranno approfondite, testate, percorse. L’11 e il 12 marzo segnate in agenda: Stati Generali di CGM a Cremona.

Un caro saluto a tutte le organizzazioni socie della rete Cgm.

Condivido con voi alcuni pensieri che accompagnano questi ultimi giorni dell’anno, giorni in cui, spero, ci sia per ciascuno di noi anche uno spazio di riposo e di intense relazioni interpersonali. Provo a fermare qualche immagine del 2024 per cogliere la ricchezza del lavoro che insieme abbiamo realizzato. L’intento non è quello di fare un bilancio, ma piuttosto di riconoscere la strada che stiamo tracciando e che ci sta accompagnando nello sviluppo delle nostre imprese sociali, chiamate a contribuire in maniera sempre più decisiva alla costruzione delle comunità.

Abbiamo scelto di investire in maniera decisa sul capitale umano della nostra rete, per far crescere cultura e competenze delle organizzazioni nella cura delle persone lavoratrici. Si è costituito un primo nucleo competente formato da cinquanta persone che ha lavorato in modo appassionato per individuare politiche e prassi nuove al fine di accompagnare il percorso di carriera dentro le nostre imprese, mettendo a frutto il grande valore intergenerazionale delle nostre compagini. Il percorso è stato solo avviato; ci aspetta un 2025
ricco di nuove iniziative.

Abbiamo accompagnato la nascita di nuove Comunità Energetiche Rinnovabili, consapevoli della centralità della parola “comunità” che questi processi possono e devono veicolare. Un’occasione irripetibile per avviare nuovi processi istituenti a base comunitaria insieme ad attori diversi da noi: PMI, cittadini, soggetti di terzo settore, enti pubblici, enti religiosi. Anche qui abbiamo la sensazione di essere solo all’inizio di una bellissima storia che vogliamo contribuire a scrivere.

Le nostre comunità di pratica, laboratori di grande scambio, fermento ed innovazione, hanno proseguito la loro attività durante tutto l’anno. Si sono susseguiti momenti di formazione, occasione di nuove progettazioni, eventi e costruzione di strumenti decisivi per la misurazione dell’impatto. Si tratta di gruppi aperti, preziosi per la rete perché animati da persone che generosamente raccontano, chiedono, scambiano e, anche se distanti, sanno riconoscersi e stimarsi. Le comunità di pratica sono davvero un asset unico, un tesoro per l’intera rete CGM.

Insieme a competenti centri di co-innovazione, preziosi compagni di viaggio, abbiamo supportato il percorso di sviluppo, di trasferimento digitale e tecnologico e di nuovo investimento per diverse imprese sociali. Questo ci sta permettendo di affinare sempre più la capacità di accompagnamento e di allargare l’ecosistema delle collaborazioni.

I buoni risultati ottenuti dallo staff progettazione, che sempre opera in sinergia con partner e competenze dentro e fuori rete, ha consentito di consolidare il posizionamento della rete nell’ambito delle povertà educative, della sostenibilità in chiave ESG, della digitalizzazione e della finanza. È proprio a partire dai progetti strategici che andiamo a costruire nuove piste di lavoro per la rete, trasformando l’approccio verso l’ente pubblico, la filantropia e l’impresa privata.

Ci sono state poi molte occasioni di incontro; la più importante è stata la nostra Convention “Direzioni. Intelligenze collettive per una nuova economia sociale”. Nella caldissima Bologna ci siamo nutriti di importanti contenuti che, siamo certi, stanno già riorientando le nostre imprese. Ma, oltre a questo, abbiamo avuto il piacere di incontrarci e di alimentare i legami tra noi; sono convinta che sia questo il nostro tesoro più prezioso. Anche per questo, venirvi a trovare (per un anniversario, una inaugurazione, un evento o anche “solo” per ri-connetterci) è per me sempre occasione di grande apprendimento e soddisfazione.

Nel 2024 abbiamo anche dovuto salutare amiche e amici che purtroppo ci hanno prematuramente lasciati. La tristezza per la loro partenza non passa; ma più forte è il desiderio di fare tesoro del loro lavoro per continuare con entusiasmo l’opera che hanno contribuito a costruire.

Il 2025 è alle porte e molte “direzioni” che la rete Cgm ha intrapreso, attendono di essere approfondite, testate, percorse. L’11 e il 12 marzo 2025 ci ritroveremo a Cremona per gli Stati Generali; mettete già in agenda!

Chiudo augurando, a nome di tutto il cda e dello staff CGM, a tutte e tutti voi Buon Natale e un 2025 in cui non venga mai meno il nostro desiderio di essere un “noi” gioioso ed operoso.

Giusi Biaggi

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Capitale umano, verso un nuovo “contratto sociale” tra persone e organizzazioni

Dopo la formazione alla Casa del Trozzo di novembre, la rete CGM continua a sperimentare e confrontarsi verso la definizione del manifesto del Capitale Umano. Il prossimo appuntamento il 4 febbraio a Milano

Non è un percorso inedito quello sul capitale umano lanciato da CGM nelle scorse settimane e ora in pieno svolgimento. Non si cammina in “terra incognita” quando si parla della risorsa più preziosa per imprese come quelle sociali e cioè le persone. Può apparire quindi un percorso agevole sia guardando agli obiettivi che alle tappe intermedie (oltre al passo da tenere). In realtà non è proprio così e ce ne siamo ben accorti durante i due workshop di apertura tenutisi qualche settimana fa in Trentino presso la suggestiva Casa del Trozzo in Val di Sella.

Si tratta infatti di un percorso impegnativo, in qualche parte addirittura accidentato. Un po’ perché ci troviamo nel mezzo di una “grande trasformazione” del mondo del lavoro che pone al centro, oltre alle classiche questioni retributive e formative, anche quella – fin qui inedita – del senso del lavoro, cioè dell’insieme di motivazioni per cui lo sforzo lavorativo diventa un percorso di realizzazione di sé. Un po’ perché, anche qui per svariate ragioni, il capitale umano delle imprese sociali è un po’ esausto e necessità di essere rigenerato affinché possa assumere una nuova centralità nel progetto d’impresa.

E’ necessario quindi fare il tagliando a strategie, pratiche e strumenti di gestione delle risorse umane, in modo da verificarne l’efficacia ed evitare così che “mettere la persona al centro” non rimanga solo uno slogan vuoto di significato che invece di attrarre allontana o demotiva le persone. Tutto questo mentre la trasformazione digitale del HR management prosegue imperterrita, intelligenza artificiale compresa.

Rispetto alle sfide di un percorso non nuovo ma certamente non semplice le 4 giornate trentine cosa ci restituiscono a livello di direzioni da seguire ed equipaggiamento necessario?

Prima di passare all’elenco dettagliato una nota di clima che è particolarmente cruciale ovvero la numerosità, l’impegno e la passione dei partecipanti. Una sessantina di HR, manager, operatori sociali che hanno condiviso conoscenze e ideali, confermando così che questo percorso non è solo necessario ma desiderato. Ed è per questo che oltre a ringraziare tutti ci stiamo impegnano come CGM per dare vita a una vera e propria comunità di pratica, organizzando altri incontri di questo tipo e dotandoci di una piattaforma digitale condivisa.

Forti di questo consenso e impegno abbiamo iniziato, grazie anche ai nostri compagni di percorso, a riordinare e innestare elementi di strategia e di gestione. Con Kopernicana abbiamo lavorato soprattutto su principi e regole auree per tornare a generare “lavoro umano” attingendo a modelli di organizzazione aperta che ormai si stanno diffondendo anche oltre i contesti “sociali” sfidando quindi le nostre imprese in termini di apprendimento. Con Cooperjob ci siamo addentrati nel “sottobosco” delle pratiche di HR management che in questi anni abbiamo accumulato (a volte in modo non sempre ordinato) cercando di migliorare l’esistente e al tempo stesso di svelare risorse e capacità nascoste (idle capacity). Uno sforzo che ci può premiare trasformando questo sottobosco in un giardino dove le qualità organizzative dell’impresa sociale – apertura, partecipazione, ma anche autonomia e indipendenza – possano tornare a rappresentare un valore distintivo e addizionale.

In estrema sintesi è da un nuovo “contratto sociale” tra persone e organizzazioni sancito attraverso un manifesto d’intenti e un playbook di pratiche che vogliamo riattivare quel circuito virtuoso tra risignificazione del lavoro e riproduzione della cultura organizzativa che è alla base del nostro concepire e fare impresa sociale.

Auguriamoci buon viaggio!

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Laboratori di VITA, lo sguardo nuovo su ragazzi con fatiche psicologiche

38 ragazzi e ragazze, 12 genitori, 25 educatori. Continua il progetto V.I.T.A. (Visioni Integrate per il Trattamento degli Adolescenti) che stiamo portando avanti con Cooperativa La Strada e Gruppo L’impronta, con la collaborazione della Neuropsichiatria Infantile della ASST Santi Paolo e Carlo, per supportare i ragazzi che si trovano in condizioni di fragilità e sofferenza nei municipi 4 e 5 di Milano.

Andrea è un ragazzo di quasi 17 anni: silenzioso, sensibile, con importanti cali dell’umore che spesso lo portano a ritirarsi, a stare da solo per lunghi periodi chiuso in casa. Così è stato presentato, così l’educatore lo ha accolto e affiancato per alcuni pomeriggi. “Non ho mai visto nessun ragazzo disegnare così bene”. Forse per la prima volta Andrea è stato “guardato“ con occhi diversi, e questo “sguardo” è stato condiviso con il neuropsichiatra della Unità Operativa di Neuropsichiatria infantile, con gli insegnanti della scuola, con la famiglia. Durante una pesante ricaduta, Andrea è stato aiutato dagli adulti intorno a lui a rialzarsi, ha imparato a riconoscere alcune fatiche ed a gestire meglio i momenti difficili. La mamma ha trovato nel gruppo genitori un sostegno e, rinfrancata, è riuscita anche a spendersi come sostegno per  altri genitori. Andrea, nel corso di questi mesi, ha preso delle decisioni: cambierà il suo percorso di studi per valorizzare al meglio il suo talento, e riprenderà con maggiore fiducia il suo percorso, anche se avrà bisogno ancora del sostegno intorno a lui.

Questa è solo una delle storie di V.I.T.A. (Visioni Integrate per il Trattamento degli Adolescenti), progetto che stiamo portando avanti con Cooperativa La Strada e Gruppo L’impronta, con la collaborazione della Neuropsichiatria Infantile (NPI) della ASST Santi Paolo e Carlo, per supportare i ragazzi che si trovano in condizioni di fragilità e sofferenza nei municipi 4 e 5 di Milano. V.I.T.A. è finanziato dal bando Attentamente di Fondazione Cariplo.

Il progetto V.I.T.A. intende rispondere all’esplosione dell’emergenza psichiatrica post-covid nei preadolescenti e negli adolescenti, costruendo per loro un “ponte” tra il servizio di neuropsichiatria e il territorio di appartenenza degli adolescenti, sostenendo e valorizzando le risorse degli adolescenti nella loro resilienza, attraverso una progettualità che, da intervento individuale iniziale, porti i ragazzi a fare esperienze in gruppo. La metodologia di lavoro propone una nuova forma di intervento multidisciplinare con un impatto sia sulle situazioni già note alla NPI, ma anche e soprattutto sulla famosa “zona grigia” che viene intercettata presso i servizi territoriali. Le attività proposte sono di tipo laboratoriste e spaziano tra gli ambiti artistico, sportivo, teatrale e delle life skills.

I ragazzi che stanno partecipando a questo progetto sono 38 di età compresa tra gli 11 e i 17 anni. Nel progetto sono stati coinvolti anche 12 genitori per un’attività di supporto, supervisione e accompagnamento e 25 educatori nella fase preliminare di formazione. 

Queste tre testimonianze raccolte tra i ragazzi e le ragazze che hanno partecipato al progetto: “Tra tutte le attività che ho fatto il laboratorio artistico e quello teatrale sono quelli che mi sono piaciuti di più. La cosa più bella è che qui nessuno ti obbliga a fare nulla”. “In questi due anni, questo progetto mi ha aiutata a credere di più in me stessa, ad esprimermi e a stare in mezzo alle persone”. “Ho conosciuto nuove persone che mi hanno aiutata a distrarmi da tutto il buio che mi circondava. Sono entrata da bruco e grazie a questo progetto mi sento di poter diventare una farfalla”. 

Intercettare precocemente il bisogno, valorizzare il gruppo dei pari come fattore protettivo, attraverso l’attivazione di percorsi di gruppo e l’integrazione nei laboratori del territorio, implementare le competenze degli educatori, superare un modello di intervento in perenne ed affannosa emergenza, costruire un sistema di rilevazione e monitoraggio permanente. Sono questi gli scopi di V.I.T.A. Per crescere come promotori e produttori di benessere di ragazzi e ragazze con fatiche psicologiche ed emotive attarverso interventi diffusi e capillari, articolati e sistemici. Con un approccio che fa bene agli adolescenti e a tutta la comunità.

Progetto V.I.T.A. (Visioni Integrate per il Trattamento degli Adolescenti)
Target: Adolescenti 11-17 anni
Zona di intervento: Zona 4 e 5 di Milano
Partner: La Strada Società cooperativa Sociale, CGM – Consorzio Nazionale della Cooperazione Sociale, L’impronta Associazione Onlus
Con la collaborazione di: ASST Santi Paolo e Carlo – NPI
Finanziamento: Fondazione Cariplo (Bando Attentamente)

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Alla CER di Biella si viaggia in elettrico: il community car sharing è sostenibile

In una delle 14 CER che stiamo creando in tutta Italia con Fratello Sole, la Oremo Energia Solidale di Biella, i membri hanno deciso di adottare un car sharing full-electric per i propri spostamenti, dando un ulteriore contributo in termini di sostenibilità alle attività della Comunità energetica.

Presso la sede di Cascina Oremo a Biella, è stata presentata nei giorni scorsi la nuova partnership tra Elettra Car Sharing, società del Gruppo Duferco e Oremo Energia Solidale, la comunità energetica rinnovabile di Biella, che coniuga energia condivisa e sviluppo locale rendendo enti del settore not-for-profit, cittadine e cittadini, istituzioni e imprese promotori e protagonisti attivi della comunità.

Oremo Energia Solidale è la prima di 14 comunità energetiche che Fratello Sole e CGM stanno creando in tutta Italia, attraverso la società EpC – Energie per Comunità. La CERS di Biella, che produce la propria energia grazie ad un impianto fotovoltaico da 300 kW, eviterà l’emissione in atmosfera di 196,09 tonnellate di CO2 in atmosfera all’anno, pari all’assorbimento di oltre 1000 alberi.

Da oggi, Oremo Energia Solidale ha scelto Elettra, il Car Sharing 100% elettrico di Duferco Energia – “Green Mobility Partner” di EpC – per avere un’auto full-electric a disposizione dei membri della Comunità energetica. L’accordo prevede l’introduzione dei servizi per la mobilità forniti da Elettra Car Sharing con il conseguente ingresso nella flotta della CERS di un’auto full-electric in condivisione tra tutte le realtà che fanno parte della Comunità. La vettura permetterà di effettuare gli spostamenti in maniera assolutamente priva di emissioni carboniche dando un ulteriore contributo in termini di sostenibilità alle attività della Comunità energetica.

L’obiettivo è quello di ottimizzare i servizi della CERS attraverso una gestione degli spostamenti più smart e attenta all’ambiente: un modo per contribuire a un territorio più green e ridurre il traffico.

“Questa iniziativa si inserisce nelle attività sperimentali che stiamo conducendo attraverso la nostra CERS – ha dichiarato Enrico Pesce, Presidente della CERS Oremo Energia Solidale – Il community carsharing rappresenta un processo di condivisione diffusa e responsabile di un’auto di comunità, e nei prossimi mesi analizzeremo come questo modello possa essere economicamente sostenibile, contribuendo a risolvere alcune problematiche di mobilità del territorio. Inoltre, la possibilità di rilasciare certificazioni di carbon footprint e di impatto sociale apre interessanti prospettive in ambito aziendale, rispondendo alle esigenze dettate dagli ESG. Stiamo anche lavorando con Città Studi Biella per progettare un servizio di community carsharing dedicato alla realtà universitaria. Quello di oggi rappresenta un primo passo che auspichiamo possa aprire nuove opportunità di sviluppo per il nostro territorio”.

“Elettra Car Sharing promuove un modello di mobilità urbana sostenibile, condivisa e innovativa – commenta, Marco Castagna, Amministratore Delegato di Elettra Car Sharing e Presidente di Duferco Energia. – La modalità di Corporate Car Sharing, che consente a realtà di ogni tipo di sostituire totalmente o in parte le proprie flotte con le auto 100% elettriche di Elettra, sta diventando sempre più richiesta anche nel terzo settore. Siamo davvero felici di poter dare il nostro contributo all’attività della Comunità Energetica Rinnovabile Oremo Energia Solidale attraverso un progetto che consentirà di ridurre l’impatto ambientale anche degli spostamenti delle persone collegate alla CERS”.

“Ricordiamo – continua Marco Silvestri, Direttore di Elettra Car Sharing – che utilizzare servizi di sharing mobility full electric per i propri spostamenti non significa solo un prezioso contributo alla riduzione di CO2 (circa una tonnellata all’anno per un utilizzo medio di una vettura per Cascina Oremo) ma anche un efficientamento prezioso sulla flotta”.

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Inclusi, il podcast con Rossella Pivanti: “Il microfono una finestra sull’inclusione”

Cinque puntate. Cinque storie inclusive. “Storie di ogni giorno, storie di tutti, storie di impegno per un mondo sempre più simile a ognuno di noi”. All’interno del progetto nazionale “Inclusi. Dalla scuola alla vita. Andata e ritorno” coordinato dal nostro socio Consorzio Consolida con 50 partner tra Trentino, Lombardia, Campania, Marche e Lazio, è stato realizzato un podcast sull’inclusione di bambini e ragazzi con disabilità e bisogni educativi speciali. Lo ha condotto Rossella Pivanti, branded podcaster producer. L’abbiamo intervistata.

Ciao Rossella, raccontaci chi sei e cosa fai? 

Sono Rossella Pivanti e sono audio producer specializzata in podcast. Il mio lavoro consiste nello sviluppare progetti podcast e digital audio dall’inizio alla fine. Lavoro sia per grandi aziende e multinazionali che con enti del terzo settore. Recentemente ho fondato, con la mia socia, l’etichetta indipendente Baby Hurricane per produrre le migliori storie sconosciute e indipendenti, ma con la qualità delle più grandi produzioni.

Come sei arrivata a fare questo lavoro?

Ho iniziato come sceneggiatrice freelance dopo l’Università per approdare in radio come programmatrice a tempo pieno. Dopo 7 anni di radio ho deciso di aprire uno studio di registrazione e dal 2017 mi occupo esclusivamente di podcast.

Ad oggi in Italia il fenomeno del podcast ha raggiunto 12 milioni di ascoltatori (il 39% della popolazione) – dati IPSOS 2024. Cosa offre in più questo contenuto rispetto ad altri per comunicare in maniera efficace? 

Il podcast, più di ogni altro mezzo, crea relazione. La base su cui si fondano le relazioni sono il tempo e la fiducia. Il podcast permette di avere dei tempi più dilatati rispetto a Instagram o altre piattaforme. L’ascolto medio in Italia è di 40 minuti (IPSOS 2024) arrivando anche a picchi di ascolto medio anche di 2 ore giornaliere. Questo perché, a differenza degli altre media, non si impone sulle nostre attività ma le accompagna. Possiamo continuare a fare ciò che stavamo facendo mentre ascoltiamo un podcast, anzi, diventa tutto più piacevole. La fiducia è alla base della costruzione di relazioni sane e durature e il podcast è il mezzo che più di tutti è considerato affidabile e sincero.

All’interno del progetto “Inclusi” ti sei occupata di girare tutta l’Italia e hai raccontato diverse storie tutte diverse tra loro, secondo te cosa accomuna tutti questi racconti? 

Le storie, le testimonianze e i racconti raccolti per la serie podcast “Inclusi” hanno in comune il fatto di non appartenere al mainstream: difficilmente in televisione o negli altre media sentiamo queste storie. Sono storie grandi, nel loro essere “piccole” e con un impatto profondo, ma che non trova spazio nell’agenda dei media, perchè spesso sono storie “scomode”, che hanno bisogno di tempo, cura e attenzione e questa serie podcast ha reso loro giustizia.

I nostri protagonisti molte volte fanno fatica a raccontarsi, tu come ci sei riuscita? 

C’erano persone con fragilità che hanno trovato il proprio modo di esprimersi, a volte con frasi più brevi, a volte un po’ più sconnesse, ma che, al di là della forma, permettevano di comprendere lo sforzo che queste persone facevano per connettersi con l’ascoltatore. Il microfono è una finestra e dalla finestra si possono mostrare tante cose e così è stato per tanti di loro. C’è chi aveva difficoltà, c’è chi era esuberante e chi inizialmente era timido. Tutte queste persone hanno trovato il proprio registro e il proprio modo di esprimersi senza essere forzate ad aderire a canoni di comunicazione standard che li vorrebbe sempre perfetti e performanti.

Come si fa a raccontare storie cosi delicate, intime senza invadere la privacy?

Per prima cosa bisogna mettersi in silenzio e in ascolto. Quando mi avvicino a storie così delicate, non ho nessun tipo di preconcetto o pregiudizio: non mi pongo il problema della forma o di giudicare se quello che dicono sia giusto o sbagliato. La storia è la loro e solo loro sanno cosa vogliono dire e come. E’ molto importante che la persona che parla al microfono comprenda poi che quel contenuto sarà diffuso in rete perchè tante volte si crea una confidenza tale per cui le persone raccontano anche “di più” di quanto non farebbero normalmente. E’ il mio compito quello di far comprendere che quel contenuto sarà diffuso ed essere certa che loro comprendano. Troppe volte ascolto podcast in cui viene detto, anche velatamente, all’ascoltatore cosa deve pensare su quell’argomento. Io invece voglio che la storia e chi la racconta parlino per loro stessi. Non dobbiamo essere noi narratori a dire al pubblico cosa pensare, se le voci sono sincere e il contenuto è vero. Dall’altro, come dicevo prima, è fondamentale tutelare chi mi concede il lusso della propria storia, facendo comprendere dove e come quella storia sarà diffusa.

Ci lasci tre consigli su come noi che lavoriamo nella cooperazione possiamo fare buon uso di questo strumento? 

Con piacere. Non fatevi problemi, che l’ascoltatore non si farà! Troppe volte si pensa che le nostre storie non interessino a nessuno o che, peggio, non abbiamo nulla da raccontare. La cooperazione è fatta di storie che riguardano tutti e tutte noi. Tiratele fuori! Ci sono progetti per tutti i budge. Capisco che il tema del budget nel terzo settore sia ancora più delicato che altre situazioni private o commerciali. Ma tutti i progetti possono essere modulati sulla base di ciò che si vuole e si può anche produrre qualcosa internamente, a costi molto bassi, se lo si desidera. Non fatevi fermare da questo aspetto. Questo è il momento giusto! I podcast stanno vivendo un grande boom e questo è il momento giusto per comunicare con questo mezzo che più di altri ci permette di andare al di là delle logiche social che relegano sempre i nostri contenuti a foto shock e video da 15 secondi, che purtroppo portano a tante storture nella percezione del terzo settore e della sua utenza. Questo è il momento storico in cui le persone si stanno abituando a vivere le storie con più calma, a fruirle con l’attenzione che meritano e sarebbe un peccato farselo sfuggire.

Il progetto Inclusi è selezionato da Impresa sociale Con i bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile.

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Una pizzeria e un chiosco sull’Etna. La ristorazione inclusiva e sostenibile di Sustanza

Caso studio al Social Interprise Open Camp 2024, vi presentiamo l’impresa sociale Sustanza, fondata nel 2019 da nostro socio Consorzio Il Nodo. Con un ristorante ad Acireale e un punto ristoro sull’Etna, Sustanza sta contribuendo a rivoluzionare il concetto di ristorazione, trasformando il cibo in un potente strumento di inclusione sociale e sostenibilità. Ne abbiamo parlato con Irene Tribulato, referente Settore Progettazione e Sviluppo de Il Nodo.

Da dove nasce il progetto Sustanza?
L’impresa sociale “Sustanza” nasce nel 2019, dall’esperienza di cooperazione sociale del Consorzio di cooperative sociali “Il Nodo”, operante a Catania e Acireale dal 2000, in particolare con la gestione di servizi di I e II accoglienza di stranieri adulti e MSNA. Sustanza nasce dal desiderio di creare un’opportunità concreta di riscatto del territorio e delle persone, l’impresa sociale vista come strumento per realizzare sogni e progetti con l’intenzione di farlo nel nostro territorio, in Sicilia, a Catania.

Dall’analisi di domanda e offerta di lavoro, “Sustanza” decide di puntare al settore ristorativo. Il Consorzio “Il nodo” decide di sostenere direttamente l’impresa rilevando la pizzeria di Acireale Cantine Di Loreto, con l’impegno di sostenere il mutuo, affidando a “Sustanza” la gestione del ristorante e la costruzione della visione imprenditoriale. Questa visione consiste nel combinare la tradizione culinaria del territorio e il rispetto dell’ambiente, con un impegno
concreto e duraturo per l’inclusione sociale dei giovani e la sostenibilità.

Quanti giovani riuscite ad integrare in questo progetto e da dove vengono?
Nel 2020 i ragazzi impiegati nella pizzeria erano 5. Oggi sono 18, di cui due in tirocinio formativo, tutti gli altri con regolare contratto. I ragazzi provengono dall’Egitto, dalla Tunisia, dal Senegal, dal Gambia, dal Bangladesh, dalla Romania, 4 sono italiani provenienti da contesti vulnerabili e 1 viene dal Bangladesh, ma è uno straniero di II generazione. Si lavora in un contesto che mette insieme lingue e culture diverse tra loro, ma questo percorso ci insegna che trovare un linguaggio comune è possibile. I nostri ragazzi investono sul loro futuro, si impegnano e grazie al contratto di lavoro possono realizzare il loro progetto di autonomia.

Il valore aggiunto di questo progetto?
Sicuramente quello di creare posti di lavoro e un’opportunità di crescita professionale e personale attraverso la formazione e l’integrazione lavorativa dei giovani, in particolare migranti o provenienti da contesti vulnerabili. L’attività avviata da “sustanza” rappresenta un modello di come l’impresa sociale possa diventare strumento di inclusione, la storia in comune con il consorzio e Il Nodo ci mostra come strutture cooperative che ci sembrano superate possano diventare risorsa e non ostacolo.

Ma non solo questo, “sustanza” si propone di veicolare un modo antico dello stare a tavola, della convivialità del pasto. Un modo legato alla tradizione, al legame col territorio, alle stagioni e ai rituali della terra. Tutte le materie prime provengono da piccole aziende locali e familiari: macellerie, caseifici, apicoltori e produttori di farine, sono persone, sono storie che fanno parte di questo progetto.

Quale futuro per Sustanza?

Sustanza è solo all’inizio! Oltre alla pizzeria Cantine Di Loreto, dal 2024 “sustanza” gestisce anche un punto ristoro all’interno del parco dell’Etna, Casa della Capinera, un luogo di pace, di riscoperta, di tutela dell’ambiente, dove le vibrazioni del legame tra uomo e natura si fanno sentire ancora più forti, anche a tavola.

Con la cooperativa sociale Il Nodo quali altri progetti state portando avanti?
Tanti sono i progetti in cantiere: la realizzazione di un locale estivo, gestito da giovani donne del Mediterraneo per l’appunto, che punti alla realizzazione di eventi culturali con l’obiettivo di veicolare questa nuova sfida culturale. Un luogo in cui mantenere il legame con la cucina tradizionale, contaminandola e in cui fare esperienze che ti portino a stimolare un modo comune e nuovo di vedere il mondo. E ancora, l’idea di realizzare una comunità energetica per creare valore, ricchezza e sostenibilità nel territorio in cui insiste il ristorante Cantine di Loreto.