Cerca
Categorie
Educazione Eventi

L’outdoor education nella terra di Don Milani

Quando si arriva alla scuola di Barbiana c’è un cartello con scritto “I care”. A 100 anni dalla nascita di Don Lorenzo Milani, sacerdote e maestro, quella cura è ancora attuale.

Lo spiega bene Simona Pancari, referente dell’area educativa del Consorzio Co&So che opera nel territorio di Firenze, dove dal 22 al 23 settembre, nella Valle del Mugello, si terrà il nostro workshop “FUORI è DENTRO, itinerari per rigenerare ruoli e capacità educanti”.

I care – comincia Simona Pancari – non vuol dire solo prendersi cura dei bambini, avere a cuore i loro bisogni fisiologici, significa che i bambini appartengono ai nostri pensieri, che abbiamo in testa la loro crescita da realizzare in un percorso aperto in cui loro sono protagonisti delle esperienze. Ecco, in outdoor tutto questo viene amplificato”.

Il Consorzio Co&So pratica l’outdoor education da prima della pandemia in tutti i suoi servizi educativi. “L’outdoor education – spiega Simona Pancari – significa coltivare la libertà, l’espressione, lo stupore, la meraviglia, l’accoglienza del nuovo e del diverso, a tutte le età”. 

E allora, nella terra di Don Milani, le foto in bianco e nero della scuola di Barbiana con la lezione all’aperto davanti alla mappa dell’Italia appesa ad un albero, la piscina fuori dalla canonica per imparare a nuotare, le passeggiate esplorative nel bosco, arrivano fino ad oggi e diventano nelle strutture educative di Co&So letture all’aperto, itinerari motori all’esterno, lezioni in natura con microscopi e lenti di ingrandimento, percorsi di sostenibilità ambientale. 

“L’outdoor education con i più piccoli – spiega la referente di Co&so – per noi si traduce innanzitutto in un lavoro su spazi leggibili in cui i bambini si riconoscono e su tempi pensati e significativi”. E quando i bimbi crescono? “Il rischio – dice Simona Pancari – è che il giardino venga usato solo come premio o punizione: “Se fai il bravo vai in giardino, se non sei bravo stai in classe!”. Invece, l’aperto deve essere inteso come spazio per apprendere e per incontrare se stessi in un mondo aperto alle differenze”. 

Uno spazio che è occasione per trasformare la conoscenza in competenza. “Paradossalmente – continua Simona Pancari – è più facile che si arrampichi un bambino di sei anni piuttosto che uno di dieci. Occorre che riflettiamo sui divieti che impediscono di crescere, di sperimentare, di conoscere. Come cooperative possiamo fare molto su questo, agendo sulla cultura e diffondendo tra le famiglie e tra chi si occupa di educazione modelli positivi. Noi, ad esempio, gestiamo anche una scuola primaria e nella nostra scuola l’outdoor fa parte della quotidianità. Insegniamo ai nostri studenti la pioggia o la grandine facendoli uscire a vedere quando piove perché questo è fare scienze”.

Con una certezza che riguarda in generale tutta la comunità. “Togliere i muri fisici vuol dire anche togliere i muri mentali. Vuol dire educare alla differenza che nella natura c’è e c’è tra ognuno di noi”, aggiunge Simona Pancari.

Ecco perché il workshop Fuori è dentro nel Mugello, rileggendo l’esperienza educativa di don Milani e ripercorrendo la Costituzione, diventa una tappa importante. “Parleremo di educazione all’aperto sperimentandola – conclude la referente di Co&so – Per noi operatori dell’educazione sarà un ritorno alle origini, un’occasione per riconnetterci al mondo dell’infanzia di cui ogni giorno ci prendiamo cura”. Una sorta di “We care”

Lezione di geografia, 1956, Ammannati, Archivio FDLM
Categorie
News Storie

“Il trauma ha una coda lunga.” Da Forlì il racconto di Veronica Tedesco ancora sfollata

“In strada, coperti dal fango, c’erano i sacrifici e ricordi di una vita. È stata dura accettare di aver perso tutto. E ancora oggi non solo non siamo rientrati nella nostra casa ma fatichiamo a reggere la quotidianità. Il trauma ha una coda lunga”.

Veronica Tedesco lavora come educatrice al centro educativo San Paolo di Forlì per la Cooperativa Paolo Babini e si occupa di minori in situazione di disagio e delle loro famiglie. 

Da circa un mese con il suo compagno aveva acquistato il piano terra di una casa nel quartiere S. Benedetto, quando quella sera del 16 maggio in pochi minuti l’acqua è arrivata ad un metro e dieci di altezza. La paura, l’ultimo tentativo di salvare qualcosa, la fuga dai vicini al piano superiore con il bimbo di due anni e uno zainetto. Poi il fango e il silenzio, surreale, interrotto solo dal rumore degli elicotteri. 

“Dopo quattro giorni, abbiamo riaperto la porta di casa e abbiamo visto la distruzione. Abbiamo pensato di non farcela, io ho pianto”, dice Veronica. Senso di impotenza e angoscia, ma anche tanta solidarietà. “In quei giorni mi voltavo – racconta – e vedevo amici, parenti e colleghi che erano venuti ad aiutarci. Ero vuota dentro ma attonita da questa energia. Non finirò mai di ringraziare la mia cooperativa che ha deciso di vivere anche con noi operatori, quei valori che ogni giorno portiamo all’esterno. Non ci siamo sentiti soli e siamo grati per questo”. 

A tre mesi di distanza, però, Veronica e la sua famiglia non sono ancora tornati a casa. Vivono in un appartamento al Villaggio Mafalda della Cooperativa Babini, in attesa di fare i lavori per rendere di nuovo agibile la loro abitazione. Nel frattempo, il centro educativo San Paolo ha riaperto, lei e il compagno sono tornati a lavorare e il bambino ha ripreso ad andare all’asilo. “Ma arrivare a sera è difficile – confessa – Ci sentiamo ancora accampati e non vediamo l’ora, per noi e per il nostro bimbo, di recuperare un po’ di serenità. Ma ci vorrà tempo”.
I problemi sono tanti, la ripartenza è purtroppo è ancora lontana. Solo a Forlì sono ancora migliaia i nuclei sfollati, ci sono danni agli edifici e agli impianti fognari, non si trovano più auto usate disponibili, le strade non sono ancora state completamente ripristinate, molte imprese soprattutto agroalimentari non riapriranno più. “Gli aiuti che abbiamo raccolto e che ancora raccogliamo – descrive Marco Conti, presidente di Consorzio di Solidarietà Sociale di Forlì – li abbiamo dedicati prima all’accoglienza degli sfollati, innanzitutto nostri operatori, e ora li impieghiamo per far rientrare al più presto le famiglie nelle proprie case. In più, come cooperative, abbiamo implementato i servizi rivolti a minori e anziani in particolare, per dare una mano alle famiglie nella loro gestione durante la fase di ‘ricostruzione’, e abbiamo avviato un’attività di supporto psicologico a chi ha subito il trauma dell’alluvione. La situazione è ancora pesante, gli aiuti nazionali non sono ancora arrivati e abbiamo bisogno di mantenere alta l’attenzione”. Insieme alla speranza e alla solidarietà. 

Categorie
Eventi persone

Trasformiamo i limiti delle cooperative in possibilità

Cosa porto a casa? Che non siamo sempre i più bravi, ma che possiamo imparare molto da mondi che non conosciamo”. Chiara Campion al Social Enterprise Open Camp, l’evento di formazione organizzato da CGM insieme a Opes-Lcef, c’è stata una volta sola, lo scorso anno a Bari-Matera, ma, se il lavoro lo consentirà, replicherà anche quest’anno a Todi per l’edizione sul capitale umano, sociale e relazionale.

Ha 35 anni, è laureata in Lettere moderne e lavora alla Cooperativa L’ovile di Reggio Emilia dal 2016. Il suo ruolo è quello di project manager nell’ambito dell’educazione alla sostenibilità e dal 2021 è anche nel Cda. “Ho iniziato con il Servizio Civile – racconta Chiara – Ero alla sede centrale della cooperativa e ho potuto conoscere persone e progetti molto diversi tra loro. Mi sono innamorata di questo mondo perché si lavora con uno scopo che ha un impatto ampio sulla collettività”. Parità di genere, inclusione e benessere professionale sono i temi che stanno più a cuore alla cooperatrice de L’Ovile. “Non è facile, ma le cooperative devono essere più avanti degli altri su questi punti”, commenta. 

Del suo primo SEOC, Chiara ricorda in particolare l’intervento di Andia Chakava, leader in gender lens investing, e lo speech di Peter Holbrook, AD Social Enterprise UK (Seuk). “Ma stimolanti sono stati anche i dibattiti in gruppo, perché mi hanno aiutato a vedere le cose da un altro punto di vista”, aggiunge.

Partecipare al SEOC mi ha dato una sferzata nel lavoro – dice Chiara – Si tratta di un’occasione per maturare idee nuove o per riviversi in modo differente nel lavoro che si fa. Si conoscono esperienze, magari molto diverse dalla propria, ma che danno spunti da riportare in cooperativa”. 

Un evento di formazione internazionale sicuramente partecipato più da operatori sociali giovani. “Anche la presenza dei ‘senior’ al Seoc è importante – conclude Chiara – Credo molto nello scambio tra generazioni: noi operatori più giovani possiamo solo essere arricchiti nell’incontro con persone che sono nella cooperazione da più tempo e hanno più esperienza; loro, aprendosi ad approcci diversi, possono scardinare pregiudizi e farsi contagiare dalla ‘nostra’ flessibilità. Anche così, e il SEOC me lo ha confermato, riusciamo a trasformare i limiti del nostro lavoro in possibilità”.

Categorie
Educazione

Quando l’outdoor education la fa tutta la comunità.

L’esperienza del Consorzio Comunità Brianza che “riconnette alla natura e alle relazioni”

Più che outdoor education è una vera e propria educazione ambientale. Non solo dei più piccoli, non solo dei più fragili, ma di tutta la comunità.

Nel Parco regionale della Valle del Lambro il Consorzio Comunità Brianza gestisce da alcuni anni Agliate Community, un spazio dedicato alla rigenerazione ambientale, all’inclusione sociale e alla sperimentazione di nuovi modi di vivere il territorio. Tante sono le progettualità che da lì stanno emergendo. Proprio all’interno di Agliate Community è in corso di allestimento un vero e proprio centro di educazione ambientale con un’aula didattica attrezzata con strumenti tecnici e biblioteca, aperta alle scuole e alla cittadinanza. Altro progetto importante è quello legato alla diffusione nel territorio della Brianza della Permacultura: metodo di progettazione di insediamenti umani sostenibili fondato sulla cura della terra e delle persone, sul limite al consumo e sulla redistribuzione del surplus.
“Alla base dei nostri progetti – comincia Susanna De Biasi, responsabile dell’Area ambiente del Consorzio Comunità Brianza – c’è un obiettivo fondamentale che è quello di portare a tema la complessità nell’interazione con il territorio e nell’interazione con le persone. Si tratta di rigenerare ambiente e rapporti sociali”. Come? Portando avanti percorsi e occasioni di educazione esperienziale e sensoriale che coinvolgano la cittadinanza. A partire, ovviamente, dalle scuole che, attraverso nuove metodologie, sperimentano la connessione tra educazione civica e educazione ambientale. “Nel 2022 – spiega Susanna- abbiamo attivato un progetto che si chiama ‘W la scuola’ e che è rivolto a studenti e studentesse con l’obiettivo di stimolarli e guidarli nell’agire il loro ruolo di protagonisti della transizione ambientale ed ecologica. Durante uno degli incontri, mi ricordo che un professore era rimasto stupito da quanto i suoi alunni fossero più coinvolti e disponibili ad apprendere nell’incontro con la natura. Questo vale per i ragazzi, ma vale per tutti noi”. 

Fondamentale in questo percorso ambientale lo sguardo europeo. Sull’educazione alla sostenibilità e all’economia circolare, il Consorzio Comunità Brianza ha attivato, per esempio, un progetto Erasmus+ che coinvolge realtà e istituzioni di Romania, Turchia, Grecia, Spagna e Irlanda.

“Per anni il nostro modello economico – commenta Elisa Chiesa, senior project manager del Consorzio Comunità Brianza – si è basato sullo sfruttamento continuo delle risorse e sulla produzione continua di prodotti. Da poco stiamo assistendo ad un cambiamento nelle policy. Anche partendo da Agliate Community, il nostro Consorzio sta molto spingendo su questo, raccogliendo risorse, ingaggiando professionalità, facendo formazione, costruendo relazioni. Vogliamo sempre più posizionarci come riferimento sul settore ambiente per i nostri soci e per il territorio”. 

Perché i benefici di questo approccio riguardano davvero tutti. “Nessuno può vivere senza l’ambiente naturale. – conclude Susanna – Il problema è che siamo diseducati a farlo. Anche i nostri concittadini sono molto a contatto con la natura, ma spesso non ne conoscono il valore, vedendo nella natura solo la parte più utilitaristica. Ma naturale è naturale. Ecco perché l’outdoor education e in generale l’educazione ambientale ci aiuta a riconnetterci con la natura e con le nostre relazioni più intime”. 

L’intervista si inserisce nell’iniziativa di valorizzazione delle cooperative e imprese sociali della rete CGM che hanno risposto alla Call For Place della quarta edizione di FUORI è DENTRO, il workshop dedicato all’outdoor education.