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Nel carcere di Cagliari i panni sporchi si lavano insieme

A 24 anni, con una condanna di 30 da scontare, il progetto Lav(or)ando gli ha dato una grande possibilità, occupazionale e di vita: invece di essere trasferito al carcere per adulti, se supererà il periodo di prova, potrà essere affidato ad una comunità e lavorare come magazziniere in un supermercato. Fino alla completa libertà. 

A Cagliari, la Cooperativa Elan gestisce da diversi anni la lavanderia “Fresh&White” dellʼIstituto Penale per i Minorenni di Quartucciu e dal 2020 la lavanderia industriale della Casa Circondariale di Uta. Qui vi lavorano i detenuti adulti selezionati per il progetto Lav(or)ando, sostenuto da Fondazione con il Sud. Affiancati da un tutor, con un contratto di tirocinio di cinque mesi, si formano e gestiscono le attività di lavaggio, asciugatura, stiratura e confezionamento di capi sporchi. Con un sistema di tracciamento che, attraverso etichette barcode, consente di avere un controllo totale sul singolo capo evitando smarrimenti e garantendo un report sul numero di lavaggi. Dalla lavanderia di Uta passano 7.000 capi al mese provenienti dal carcere stesso, ma anche e soprattutto da commesse esterne. Così, i detenuti lavano le divise dei Vigili del Fuoco di Oristano e le lenzuola e gli asciugamani dei Carabinieri della Legione Sardegna. Negli anni si sono occupati dei ‘panni sporchi’ dell’Esercito, della Marina Militare e della Polizia Municipale di Cagliari. Un progetto di lavoro, di recupero sociale, di integrazione. Dentro e fuori dal carcere.

Terminato il tirocinio alla lavanderia nel carcere di Uta, infatti, dopo un percorso di orientamento lavorativo e di valutazione di obiettivi e competenze, chi può accedere a misure alternative alla detenzione o chi è assegnato al lavoro esterno (ex articolo 21) viene inserito per altri cinque mesi di tirocinio in imprese del territorio che operano in tutti i settori, dallo smaltimento dei rifiuti, alla grande distribuzione, alla gestione di riserve naturali. Per gli altri c’è la possibilità di essere assunti con un contratto a tempo determinato presso la lavanderia del carcere.

I detenuti coinvolti hanno un’età compresa tra i 24 e i 60 anni. Hanno storie e provenienze diverse. Qualcuno deve scontare l’ergastolo. Vengono proposti per il progetto dall’equipe educativa del carcere in base ad alcuni requisiti (condanna penale definitiva, pena residua non inferiore a 2 anni, possibilità di accedere alla misura ex art. 21 o alle misure alternative) e sottoposti a colloqui con la cooperativa. Il modello adottato da Elan è lo stesso per minori e adulti: quello della progettazione personalizzata portata avanti in collaborazione con la rete sociale del carcere e del territorio.

“Nella lavanderia
– spiega Elenia Carrus, vicepresidente della cooperativa Elan e Responsabile dell’Area inclusione sociale lavorativa – i detenuti investono il tempo infinito della detenzione in un’attività produttiva: acquisiscono competenze professionali e trasversali da spendere nel mercato del lavoro e nella vita e guadagnano uno stipendio che spesso utilizzano per aiutare le proprie famiglie”. 

Fondamentali per i percorsi, tre figure in particolare: il tutor aziendale che è responsabile della lavanderia, l’orientatore professionale che allo scadere dei primi cinque mesi di tirocinio affianca i detenuti nel bilancio di competenze e nel progetto professionale, e il tutor di accompagnamento che è un educatore ed è a supporto dei detenuti coinvolti, durante il tirocinio dentro e fuori dal carcere, diventando anche punto di riferimento per le imprese esterne che aderiscono al progetto e al marchio. Già, perché Lav(or)ando non è solo un progetto, ma è un vero e proprio marchio, etico e solidale. 

“Fare attività lavorativa con i detenuti è una infrastruttura economico-educativa permanente – spiega Carlo Tedde, responsabile del progetto Lav(or)andoPer questo abbiamo creato un marchio. Alle imprese che aderiscono, per ora una decina, garantiamo gratuitamente la messa a disposizione di un tutor che segue aziende e detenuti e l’accompagnamento rispetto a sgravi professionali e fiscali”. I vantaggi del marchio sono anche per il progetto che, così, è maggiormente riconosciuto e riconoscibile. “Si tratta della parte immateriale di bene comune – aggiunge Carlo Tedde – Questo è un progetto che va a vantaggio dei detenuti, delle imprese e di tutta la comunità perché abbassa drasticamente la recidiva, riduce i costi per lo Stato e quindi per i cittadini e crea valore sociale. Lavorare sull’occupabilità dei detenuti dentro e fuori dal carcere vuol dire alzare la capacità di cambiare e questo è strategico per tutti”. 

Il progetto Lav(or)ando dura 4 anni e sostiene il recupero sociale e l’integrazione di 24 persone sottoposte a provvedimenti penali detentivi. Al momento sono stati attivati 17 percorsi. Con qualche tema da affrontare: dalla carenza di personale educativo in carcere rispetto agli oltre 570 detenuti adulti presenti alla gestione degli spostamenti esterni per raggiungere il posto di lavoro (“Abbiamo proposto l’utilizzo di bici elettriche con GPS che consentirebbero tra l’altro di tracciare i movimenti e che sono utilizzate già in altri istituti per questo tipo di progettualità”, dice Eliana); con una grande sfida: quella di aumentare sia le commesse esterne affinché la lavanderia possa sostenersi in autonomia, sia le imprese disposte ad inserire detenuti per ampliare l’offerta occupazionale; e con un sogno: aprire una lavanderia al dettaglio in centro città a Cagliari con anche bar annesso come punto di incontro e di socializzazione. Il modello sarebbe lo stesso, come anche il motto: “I panni sporchi laviamoli insieme”. Questa volta però nel cuore della comunità.

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Un luogo dove si annullano i confini e si mettono al centro le buone pratiche

Salernitana di origine, ma torinese di adozione, Maria Gigantino ha 30 anni e lavora alla Cooperativa Sociale Giuliano Accomazzi. Con una laurea magistrale specifica nell’ambito, programma e gestisce i servizi educativi della sua cooperativa. Siccome è una “tipa curiosa”, come si definisce lei, è alle prese da maggio con una nuova sfida, quella del piano integrato urbano della Città Metropolitana di Torino. In particolare, si sta concentrando sulle biblioteche di quartiere che tra tre anni, anche grazie ai fondi del Pnrr, diventeranno dei veri e propri hub di servizi e socialità per il territorio, dei “luoghi dello stare”.

“Come cooperativa – spiega Maria – ci occupiamo di accompagnare il cambiamento, di raccogliere i bisogni, della mediazione territoriale. Un progetto davvero interessante”. Sul SEOC, Social Enterprise Open Camp organizzato dal nostro Consorzio insieme a Opes-Lcef, Maria non ha dubbi: “È una esperienza fantastica. Si annullano i confini e si mettono al centro le buone pratiche. In quei quattro giorni tutti concorrono allo sviluppo della cooperazione”. Due ricordi in particolare dell’edizione 2022, vissuta con altri due colleghi: la plenaria di Giovanni Teneggi di Confcooperative Reggio Emilia (“Ha rappresento la cooperazione in modo fantastico e ci siamo tutti riconosciuti”) e il workshop sulla piattaforma welfareX. “La nostra cooperativa l’ha adottata e ha formato un welfare manager – racconta Maria – ma io non occupandomene direttamente non ne sapevo molto. Al SEOC ho avuto modo di conoscere a pieno welfareX e di approfondire contenuti e spunti da riportare nel lavoro in cooperativa”.

Al Seoc di quest’anno Maria ci sarà insieme ad alcuni colleghi da poco entrati alla Accomazzi. “Sarà anche un’occasione per fare team building con i nuovi arrivati”, commenta. “Anche quest’anno – conclude Maria – sono sicura che tornerò a casa col bagaglio pieno di conoscenze e competenze. Frutto anche del confronto tra cooperanti giovani e cooperanti più esperti che, al SEOC, avviene attraverso un approccio fresco e innovativo”. Un suggerimento per migliorare ancora l’esperienza? “Valorizzare di più i momenti informali perché anche quelli sono occasioni straordinarie di relazioni e di confronto”. 

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Il primo lido inclusivo in Basilicata: “Vediamo la gioia di persone che per la prima volta mettono i piedi nel mare”

C’è Paola, una lunga esperienza nel settore turistico, che si occupa di coordinare il team e la struttura. C’è Enrico, giovane Oss, che aiuta i clienti a scendere in spiaggia con gli appositi ausili e, se serve, dà loro supporto per entrare in acqua. C’è Costanzo, studente di Giurisprudenza all’università, protagonista di un progetto di inserimento lavorativo per persone fragili, che si dedica all’accoglienza, accompagnato dalla sua tutor Arianna. Siamo a Metaponto, frazione di Bernarda, in provincia di Matera, al lido Il sogno del Capitano, il primo stabilimento accessibile, inclusivo e sostenibile della Basilicata, inaugurato a fine agosto e gestito dal Consorzio La Città Essenziale. È nato dall’idea di Gaetano Fuso, detto il Capitano, poliziotto in servizio a Matera malato di SLA e scomparso nel 2020.


Nonostante l’apertura a stagione estiva quasi ultimata, Il Sogno del Capitano ha attirato l’attenzione di molti e ha già accolto i primi clienti. Tutti entusiasti. “Anche se abbiamo aperto a ferie quasi finite – il commento di Paola Scasciamacchia, la coordinatrice del lido – abbiamo avuto un ritorno importante. In queste settimane sono venute a trovarci persone per la maggior parte della zona. Per tutte loro e per le loro famiglie, trascorrere in totale serenità e con tutti i servizi dedicati, un giorno al mare, è stato un grande regalo. Alcuni ci dicono che è come fare una vacanza ai Caraibi e la soddisfazione dei nostri clienti è il nostro obiettivo”.

Ho visto persone che per la prima volta mettevano i piedi nell’acqua – racconta l’Oss Enrico Pietrafesa – E una signora, commentando al telefono il nostro lido, ho sentito che diceva: ‘Qui ti stanchi solo se ti vuoi stancare’. Ecco questa frase rappresenta bene ciò che facciamo per tutti, persone con e senza disabilità”. 

Al lido che è aperto tutti i giorni dalle 8 alle 19, oltre alle “postazioni mare” accessibili, prenotabili anche tramite l’app spiagge.it, ci sono ausili specifici per ogni disabilità, servizi igienici, cabine e docce attrezzate, un bar caffetteria e spazi per l’animazione. Nella nuova struttura, costruita con materiali a basso impatto ambientale, lavorano più di dieci unità a turno. Anche il team del Sogno del Capitano è inclusivo: nello staff sono stati formati e inseriti alcuni operatori, come Costanzo, che hanno delle fragilità o vulnerabilità. “Ho un genitore in carrozzina – racconta il tirocinante Costanzo – e il progetto del lido inclusivo mi ha davvero colpito. Per questo ho accettato la proposta della Cooperativa di fare qui uno stage. Mi sto trovando molto bene e sto imparando molto. Il lido fa bene anche a me: sentirmi parte di questa bella esperienza mi dà entusiasmo e soddisfazione”. 

“Siamo riusciti a costruire una bella squadra – commenta Paola – Siamo molto uniti e collaboriamo affinché tutto funzioni al meglio. Ho trovato ragazzi che hanno grande cuore e grande impegno”.

Al Sogno del Capitano la stagione è quasi finita, ma lo sguardo è già alla prossima. “Stiamo già prendendo le prenotazioni per l’estate 2024 – conclude Paola – Sicuramente avremo più ospiti e, oltre al bar, un ristorante sul mare. Questo lido insegna a tutti a cambiare punto di vista e speriamo che sia d’esempio per altre strutture turistiche e ricettive del nostro territorio. Noi lavoreremo anche per questo: rendere l’intera vacanza nella nostra terra accessibile a tutti”. 

Il lido Il Sogno del Capitano è stato realizzato all’interno del progetto “Open Basilicata – Il Turismo per tutti” con l’obiettivo di promuovere in Basilicata un turismo inclusivo. Hanno collaborato il Comune di Bernalda, il Consorzio La Città Essenziale e i partner dell’ATS – Cooperativa Oltre L’Arte, Cooperativa Prato Verde, Anfass Policoro, 2HE , TiEmmeA APS, Ente Nazionale Sordi.

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Un incontro di esperienze e storie incredibile!

Luca Simmi, ha 28 anni. Laureato in Scienze dell’educazione, è educatore della Cooperativa Nazareth di Cremona. Si occupa di adolescenza e di percorsi di educazione in outdoor. “Ho scelto di lavorare nel mondo della cooperazione – dice – perché le opportunità occupazionali per la mia professione sono per la maggior parte lì e perché l’aspetto comunitario è stimolante per me, in termini di servizi e anche in termini di ambiente di lavoro”. L’anno scorso, per la prima volta, è stato con quattro colleghe della sua cooperativa, al Social Enterprise Open Camp a Bari-Matera. “Non sapevo cosa aspettarmi all’inizio – commenta Luca – Si è rivelata un’esperienza davvero valida. Non solo ho capito di più sul mondo della cooperazione, ma è stata una straordinaria occasione per fare rete. Ho trovato un sacco di giovani provenienti da tutto il mondo con un sacco di idee, pronti a metterle davvero in gioco. Una contaminazione incredibile”.
Dell’esperienza a Bari-Matera, due ricordi in particolare: il discorso di Giovanni Teneggi, direttore di Confcooperative di Reggio Emilia (“Ha messo in luce il senso della cooperazione e la sua prospettiva, me lo porto dentro quell’intervento”) e il gruppo di lavoro per il caso studio su Needsmap, cooperativa sociale turca fondata nel 2015 che attraverso una piattaforma utilizzata da oltre 110mila persone, 350 ONG e 70 organizzazioni mette in contatto persone in difficoltà con individui, istituzioni e realtà che vogliono dare il loro sostegno. “Mi sono trovato in un gruppo con giovani cooperatori spagnoli, tedeschi, lussemburghesi, inglesi, nigeriani – racconta Luca – Ci siamo confrontati in inglese sui possibili sviluppi nel mercato italiano della piattaforma turca. Alla fine, la nostra idea è stata premiata perché Needsmap si è guadagnata lo speech finale. È stato bello vedere come tutti i componenti del gruppo erano disposti a dare una mano”. Con la guida di alcuni leader ‘senior’. “Il SEOC è bello perché ci sono tanti giovani – continua Luca – Contenuti e idee escono proprio dal confronto tra giovani. Poi, ed è fondamentale, ci sono persone più esperte che fanno da facilitatori rispetto soprattutto alla messa a terra di queste idee”.
Quest’anno Luca, lavoro permettendo, parteciperà al Seoc a Todi (Perugia) sul capitale umano. “Anche questa volta sono sicuro che tornerò carico di idee, occasioni e relazioni da mettere in campo poi una volta rientrato a casa”, conclude.