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Cooperative contro il gender gap, ne parliamo con Sofia Borri

Portate la parità in ambiti strategici come l’educazione

“La parità di genere non è solo un tema di diritti e di giustizia, ma di sviluppo. E non interessa solo le donne, ma tutti, uomini compresi”. Accento milanese, ma origini argentine, mamma di due bambine, Sofia Borri è la Presidente di Piano C, realtà nata a Milano come primo coworking con cobaby d’Italia e ora ‘factory’ nazionale che si occupa di riprogettazione professionale, formazione ed empowerment femminile. Con una laurea in Filosofia e Antropologia e un master in Management delle imprese sociali, Sofia è speaker e formatrice sui temi del gender gap, della rottura degli stereotipi e della sinergia vita-lavoro. Con CGM collabora per il percorso che coinvolge molte cooperative sulla certificazione per la parità di genere UNI PdR 125:2022“Con Piano C – spiega la presidente – incontriamo molte donne che sono formate, qualificate e motivate, ma si trovano fuori dal mercato del lavoro. Le accompagniamo in un percorso che le porta a far emergere il proprio valore professionale ed economico. Come? In gruppo perché la dimensione della rete è fondamentale, attraverso un metodo nuovo che abbiamo sistematizzato e sperimentando”. L’altro pezzo dell’attività di Piano C è dentro le aziende. “Promuoviamo nelle aziende uno sguardo nuovo sul talento femminile – continua Sofia Borri – Valorizziamo le donne motivate e capaci che però non emergono”. Il tutto, scontrandosi spesso con fatiche organizzative e modelli di leadership improntati sull’egemonia maschile. 

In un contesto ancora discriminatorio, dove ad esempio la maternità è vissuta come un’anomalia, la normativa può aiutare a fare passi in avanti. “Innanzitutto – commenta la presidente di Piano C – darsi uno strumento condiviso e agganciarsi ai dati consente di inquadrare la reale situazione e di stabilire degli step di miglioramento. In più consente di misurare le performance positive di un approccio improntato sulla parità di genere, mettendo l’accento sul valore, anche economico, di quel pezzo di capitale umano. Si tratta di una leva potente. Occorre uscire dalla logica che la parità di genere è contro gli uomini. No, è per tutti. Per questo servirebbero politiche più coraggiose che incentivino le realtà a dotarsi di questi strumenti rendendoli vantaggiosi e trasformando quindi nel tempo le prassi organizzative positive in crescita e sviluppo”. Rispetto a questo le cooperative e il terzo settore hanno un ruolo fondamentale. “Da una parte – continua Sofia Borri – perché, per i servizi di cura di cui si occupano, nelle cooperative e nel terzo settore operano tante donne, dall’altra perché alcune prassi contro il gender gap si verificano già, anche se non codificate. Per questo il terzo settore può esercitare una forte spinta al cambiamento. Serve riconoscere ciò che di buono c’è già per valorizzarlo e serve portare la parità di genere in ambiti strategici come ad esempio quello dell’educazione in cui le cooperative sono spesso protagoniste. Che modelli su questo tema le cooperative portano avanti con i bambini e le bambine della fascia 0-6 e 7-11, ma anche con i preadolescenti e adolescenti? Occorre chiedersi e per prime le cooperative devono farlo: come educhiamo alla parità?. Il messaggio finale è proprio per le cooperatrici donne. “Nelle cooperative si concentra tanto talento femminile che non va dato per scontato e che va riconosciuto prima di tutto dalle stesse donne – conclude Sofia Borri – A loro dico: sperimentate l’empowerment, non abbiate paura del potere inteso come esercizio di possibilità e realizzazioni di visioni”. 

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Storie

A Cascina Falchera il restauro inclusivo dell’ultimo tram centenario di Torino

“Qui uniamo riuso e riscatto sociale”.

C’è un tram centenario parcheggiato a Cascina Falchera, l’hub di innovazione sociale e ambientale gestito dal Consorzio Kairos in una vecchia cascina da poco riqualificata a nord di Torino. E’ il numero 614 ed è stato costruito alla fine degli anni ’20 nelle officine dell’ATM (Azienda Torinese Mobilità). In origine bidirezionale, con porte aperte e di colore rosso-crema, negli anni ’30 è stato oggetto di un restyling che lo ha trasformato in unidirezionale, con porte pneumatiche e colore verde bitonale. Ha prestato servizio fino agli anni ’50. E’ sopravvissuto alla demolizione perché è stato utilizzato prima come mezzo da carico per il trasporto della frutta, poi come container per il ritrovo dei ferrovieri.

A gennaio, il 614 è stato trasferito dal deposito della Metropolitana a Cascina Falchera e affidato nelle mani di Flavio Castagno, falegname ed educatore, già restauratore di locomotive, appassionato di riuso e di riciclo. E’ lui che sta seguendo per il Consorzio Kairos, all’interno della falegnameria sociale (RE)Made of wood, lo straordinario recupero di questo mezzo, realizzato con il contributo di Fondazione CRT. “Ora lo stiamo disallestendo – spiega Flavio – e stiamo documentando e catalogando tutto con disegni e fotografie. Poi faremo il progetto di riallestimento con l’obiettivo di riportare gli interni alla loro versione originale anche attraverso l’aiuto di immagini storiche fatte durante gli incidenti”.

Il restauro del tram è una straordinaria occasione anche di coinvolgimento, formazione e riscatto per persone che, in diversi modi, vivono situazioni di fragilità o vulnerabilità. Al laboratorio artigianale di Cascina Falchera prima dell’estate, infatti, sono terminati tre tirocini formativi lavorativi che hanno coinvolto due donne, una inserita in un percorso di emersione dalle dipendenze, una in un percorso di riattivazione al lavoro, e un migrante richiedente asilo, e da ottobre ospiterà un nuovo ciclo di borse lavoro che si occuperà anche del restauro del tram. “Quella del laboratorio artigianale è un’esperienza importante per persone con diverse fragilità – commenta Valentina Paris, di Exar Torino, che gestisce il servizio di erogazione delle borse lavoro – Si tratta di un impegno quotidiano che porta le persone a riorganizzare la propria vita dal punto di vista degli orari e degli impegni e che le fa sentire di nuovo parte di un gruppo, di una comunità. Al laboratorio si impara facendo, si acquisiscono competenze e sicurezza in se stessi. In più, c’è la continuità della remunerazione che riattiva la consapevolezza economica e la riorganizzazione dei bilanci familiari. Tutte questioni fondamentali e non sempre facili che aiutano a ripartire più forti”. 

“Il restauro
– aggiunge Flavio – consente di trasformare qualcosa di vecchio, brutto o rovinato in bellezza ed è una grande possibilità di riscatto per le persone che ne sono protagoniste. Costruire e realizzare qualcosa alza l’autostima e consente di rimettersi in gioco”. “Una dimostrazione di questo? – racconta l’educatore – Qualche mese fa è uscito un articolo sul restauro del tram. Il titolo era: Tram restaurato da donne fragili. In quel periodo avevamo inserito nel progetto anche due ragazze, studentesse delle Belle Arti. Si erano arrabbiate. Dicevano: Perché ci dicono fragili? Guarda che belle cose che stiamo facendo! Ecco, di fronte a qualcosa di bello che stai facendo e che gli altri riconoscono, la fragilità scompare e cresce l’orologio di chi ce la può fare, nel lavoro e nella vita”. 

Il tram 614, una volta svuotato, verrà portato a Brescia, presso una officina che si occuperà di sistemare la parte meccanica e la carrozzeria. Nel frattempo, Flavio e il suo team si occuperanno di recuperare o ricreare l’arredo originario: dalle panche al sedile di guida, fino ai vetri incassati nella struttura di legno. L’ultima operazione sarà quella del rimontaggio. Il tram 614, poi, ritornerà a circolare e, grazie all’Associazione Torinese Tram Storici, sarà protagonista di tour culturali e turistici per la città di Torino. 

Cascina Falchera è un Bene Comune della Città di Torino concesso al Consorzio Kairòs, sino al 2040, da ITER – Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile, con l’obiettivo di valorizzarne la vocazione educativa e trasformarlo in un hub di Innovazione sociale. Sono partner del progetto: Città di Torino, Università degli Studi di Torino – Dipartimento di Scienze Veterinarie e Dipartimento di Psicologia, Liberitutti s.c.s., Crescere Insieme s.c.s., Ecosol s.c.s, Liberitutti Factory s.r.l. impresa sociale, Damamar odv, RE.TE. ong, Impollinatori Metropolitani aps, Parco del Nobile aps, Legambiente onlus, Wea Foundation, Padel M2, (Ri)generiamo, Leroy Merlin

Fotografie di Marzia Allietta

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Educazione Eventi persone

Da Don Milani a oggi, Piergiorgio Reggio: “Solo il sapere attraverso l’esperienza è vero sapere”

“È proprio come il titolo del workshop: Fuori è Dentro. Solo il sapere attraverso l’esperienza è vero sapere. Solo ciò che passa tra dentro e fuori è conoscenza. Se no è un’acquisizione di concetti e competenze, ma non realmente rielaborate e possedute”.

Piergiorgio Reggio è stato ospite del workshop sull’educazione organizzato da CGM nella Valle del Mugello, in Toscana, in collaborazione con il Consorzio Co&So. Una due giorni in cui, anche grazie al suo contributo, si è potuto approfondire e attualizzare il messaggio di Don Milani e della scuola di Barbiana.

Piergiorgio Reggio è docente di Pedagogia dell’età della vita all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di Brescia e insegna Ermeneutica delle pratiche formative all’Università di Verona. Pedagogista e formatore, è presidente della Cooperativa Progetto 92 di Trento e vicepresidente dell’Istituto Paulo Freire con sede a Lecce.

La sua passione per Don Milani è nata da giovanissimo. A 17 anni ha fatto esperienza come educatore alle scuole popolari milanesi del prete operaio Don Cesare Sommariva, amico di don Milani, e negli anni 70 ha partecipato a progetti ispirati a Don Milani e declinati al mondo operaio milanese. Negli anni ’80, poi, a Barbiana ha frequentato i campi estivi di coordinamento per gli insegnanti non violenti. Ha letto e scritto libri sul “metodo Barbiana”: suo ‘Lo schiaffo di Don Milani’ pubblicato nel 2014 e ristampato nel 2020. “Occorre rileggere Don Milani per concentrarsi sulle pratiche educative dell’oggi – spiega il docente di Trento – A 60 anni di distanza, sarebbe fuori luogo e patetico riproporre la scuola di Barbiana perché nel frattempo è cambiato il mondo. Ma Don Milani ci provoca e ci fa ritornare alle radici dell’educazione”. 

Due i temi fondamentali di Don Milani che, secondo Piergiorgio Reggio, parlano a educatori e operatori sociali di oggi. Il primo è quello della giustizia nell’educazione. “Ai tempi di don Milani l’educazione era un sistema selettivo che penalizzava alcune aree del paese, come quelle montane, e alcune classi sociali – dice Piergiorgio Reggio – Poi, abbiamo vissuto un’esclusione dagli studi dei migranti interni provenienti dal sud Italia e oggi viviamo quella di bambini e ragazzi del sud del mondo. Il fenomeno è cambiato ma il tema è ancora attuale e riporta alla domanda di fondo: perché imparare? Per Don Milani la conoscenza è potere: sapere vuol dire poter essere sovrani e non sudditi. Oggi noi che risposta diamo a quella domanda?”. Nel workshop di CGM, partendo da questa provocazione, è emersa una riflessione interessante sulla centralità della parola. “C’è un tema di potere nella parola perché la parola fa eguali – spiega il professore di Trento – Oggi non siamo di fronte solo ad un deficit linguistico, ma viviamo la necessità di accogliere una parola che per molti bambini e ragazzi è fatta anche di mutismi. A Barbiana gli studenti erano muti perché crescevano in una società chiusa e isolata, oggi viviamo il mutismo giovanile in un contesto in cui le possibilità di accesso a mondi diversi e lontani è infinita. Il mutismo allora è diverso, è un mutismo emotivo e del pensiero e di questo dobbiamo tenere conto nel fare educazione”.

La seconda provocazione di Don Milani per l’oggi si riassume nella domanda ‘perché insegnare?’.“Per Don Milani – racconta Piergiorgio Reggio – l’insegnamento era parte integrante della sua missione di prete e veniva vissuto con una forte responsabilità collettiva. Oggi ovviamente gli educatori hanno motivazioni diverse, ma occorrerebbe recuperare una educazione problematizzante, ovvero che non agisce solo sul piano individuale, ma su quello strutturale. Il bambino con difficoltà scolastiche vive sue difficoltà, ma anche difficoltà di contesto, di sistema. Ecco, intendere l’insegnamento così, consente di controllare il senso di onnipotenza di noi operatori e contemporaneamente di recuperare un ruolo sociale fondamentale, un ruolo che favorisce il cambiamento collettivo”. In tutto questo, centrali sono le metodologie. “L’outdoor education – prosegue Piergiorgio Reggio – è una modalità di un approccio metodologico più ampio, molto diffuso all’estero: l’apprendimento esperienziale. In tutti i contesti, artistici, urbani e anche naturali, il fare non deve essere fine a se stesso ma deve essere trasformato in apprendimento su se stessi. Solo così diventa conoscenza. E già a Barbiana c’erano elementi che oggi ispirano questo approccio”.  Ecco perché tornare, praticamente e metaforicamente, alla scuola di Don Milani è fondamentale. “Per ritrovare le sorgenti più vive dell’essere educatori oggi”, conclude Piergiorgio Reggio. Lui a Barbiana ci torna spesso. A metà ottobre accompagnerà nella terra di Don Milani cinque ragazzi inseriti in percorsi di giustizia riparativa. “Li stiamo preparando, vediamo Barbiana che effetto farà anche su di loro…”, sorride.